Il 70 % della popolazione ha ipolattasia, cioè una ridotta capacità di digerire il lattosio.
Il lattosio, zucchero disaccaride, è presente solo nel latte dei mammiferi, per essere scisso, richiede l’azione dell’enzima lattasi.
Durante l’infanzia, il lattosio fornisce una fonte di energia per la crescita e lo sviluppo. La lattasi lo riduce in glucosio e galattosio, il primo è utilizzato come fonte energetica, il secondo diventa un componente per formare grassi e proteine. L’enzima si trova sulla superficie dell’ intestino.
La lattasi si attiva a partire dall’ottava settimana di gestazione e la sua funzione aumenta fino alla 34esima settimana per raggiungere il picco alla nascita. Resta massima per tutto il periodo in cui l’allattamento costituisce il nutrimento esclusivo del bambino. Dopo lo svezzamento inizia a decrescere con una riduzione progressiva geneticamente programmata, ma estremamente variabile da individuo a individuo, in età adulta.
L’intolleranza al lattosio non è un’allergia, ed erroneamente è spesso considerata tale; esiste infatti un’importante differenza. Persone che hanno un’allergia al latte reagiscono a questo alimento anche se assunto in piccolissime quantità, invece coloro che sono intolleranti al lattosio possono assumerne determinate quantità senza presentare alcun sintomo.
I sintomi sono: dolori addominali, meteorismo, distensione addominale, stanchezza, pesantezza di stomaco, senso di gonfiore gastrico e diarrea, con feci acquose, acide che insorgono da 30 minuti a 1-2 ore dopo l’ingestione di alimenti che contengono lattosio. Tuttavia tali sintomi non sono specifici: altri disordini, come l’ipersensibilità alle proteine del latte, reazioni allergiche ad altri cibi o intolleranze ad altri zuccheri possono causare sintomi simili. La sintomatologia è differente da paziente a paziente, con manifestazioni di diversa entità ed importanza, a seconda del grado di carenza di produzione dell’enzima lattasi. Se il lattosio viene ingerito insieme ad altri carboidrati (specie i carboidrati semplici), che aumentano la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi sono più intensi, mentre se viene ingerito insieme ai grassi, che riducono la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi possono essere molto ridotti o addirittura assenti.


Dolori addominali e gonfiori, causati da un non assorbimento del lattosio che nel colon per fermentazione da parte dei batteri intestinali, porta alla produzione di acidi grassi a corta catena (SCFA), idrogeno, metano e biossido di carbonio, così aumenta il transito intestinale e la pressione nel colon. L’acidificazione del contenuto del colon e l’aumento osmotico, causano una maggiore secrezione degli elettroliti e dei fluidi, un rapido transito e conseguente diarrea.
In alcuni pazienti, nonostante si eliminino dalla dieta gli alimenti contenenti lattosio, continuano a manifestarne i sintomi, la causa potrebbe essere IBS, cioè sindrome dell’intestino irritabile.
Forma congenita, genetica e acquisita
La forma genetica (detta anche forma primaria) è generata dal deficit di produzione della lattasi. Si può manifestare nel bambino con lo svezzamento (a circa 2 anni di età) oppure più tardivamente nell’adulto dovuta alla riduzione progressiva della produzione della lattasi. La forma acquisita (detta anche forma secondaria) è invece secondaria ad altre patologie, acute (infiammazioni e infezioni dell’intestino come salmonellosi, colera, enteriti acute) o croniche intestinali (celiachia, morbo di Crohn, linfomi, sindrome dell’intestino irritabile). Si tratta di una forma transitoria che si risolve nel momento in cui si ha la guarigione della malattia.
Anche trattamenti antibiotici, chemioterapici o con radiazioni ionizzanti possono determinare ipolattasia, come conseguenza della loro tossicità sulla mucosa intestinale o di un’azione di inibizione diretta dell’attività lattasica. C’è poi una terza forma molto rara, di origine genetica a insorgenza precoce, si manifesta sin dalla nascita, e causa l’impossibilità di nutrire il bambino con latte materno.
Comuni miti
Il latte di capra è senza lattosio?
FALSO. Nel latte di capra c’è un contenuto del 4% di lattosio. Il latte di soia (sarebbe più corretto parlare di bevanda, ma per abitudine tendiamo a nominarlo come latte) e quello di riso sono privi di lattosio.
Devono essere esclusi yogurt e tutti i tipi di formaggi?
FALSO. Lo yogurt e altri prodotti fermentati come il kefir, leben, labaneh, sono sì prodotti a partire dal latte ma i batteri utilizzati per produrli, fermentano il lattosio e quindi sono prodotti che non causano problemi a chi ha l’intolleranza al lattosio. Così come pure i formaggi stagionati come pecorino, parmigiano, provolone, grana e altri, infatti durante la stagionatura, i batteri lattici presenti all’interno del prodotto caseario, riducono il lattosio in acido lattico. Occorre sempre verificare il contenuto residuo di lattosio di questi formaggi. Non sono invece permessi formaggi freschi quali mozzarella, certosa, generalmente i formaggi molli dove il contenuto in lattosio è notevole.

Nella tabella sono mostrati i grammi di lattosio presenti per 100 grammi di prodotti caseari e loro derivati.
Fare la diagnosi è importante per escludere dalla dieta in modo totale o parziale, a seconda della gravità, gli alimenti che contengono lattosio, ma addirittura anche alcuni farmaci in cui il lattosio è presente come eccipiente. Si basa su due principali metodiche: Breath Test e Test genetico.
Il Breath Test viene effettuato dopo un digiuno di almeno 12 ore; nel mese precedente l’esame si deve sospendere l’assunzione di antibiotici e 15 giorni prima dell’esame non si devono assumere fermenti lattici e lassativi. La dieta della sera precedente l’esame prevede riso bollito non condito e carne o pesce ai ferri con condimento a base di olio, acqua non gassata e niente pane. Un test positivo accerta la presenza di malassorbimento del lattosio, ma non discrimina se si tratti di una forma primaria dovuta a un deficit genetico di lattasi, o secondaria dovuta ad un’alterazione dell’integrità della parete intestinale conseguente a stati patologici.

L’unica terapia è l’esclusione dalla dieta degli alimenti contenenti lattosio per un periodo variabile, di almeno 3-9 mesi, per permettere la remissione completa di tutti i sintomi e la ripresa della normale funzionalità intestinale. Dopo tale periodo si reintroducono nella dieta bassi quantitativi di lattosio per poi accrescerli e valutare la reazione, questo in caso di intolleranza al lattosio secondaria. Se intolleranti in forma primaria, quindi genetica, gli alimenti contenenti lattosio devono essere esclusi dalla dieta in modo permanente.
Il lattosio è spesso utilizzato dall’industria alimentare come additivo in diversi alimenti come salse, hot-dog, margarina, pane, cereali da colazione, patatine, barrette proteiche. Questo perché ha un basso costo, dà consistenza e sapore. E’ importante perciò leggere sempre attentamente le etichette.
Anche molti farmaci ed integratori alimentari contengono lattosio come eccipiente, compresi i granuli omeopatici. Esistono in commercio diversi integratori di lattasi, che non sono curativi ma vanno solamente assunti poco prima dei pasti in cui si sospetta possa essere presente lattosio, introducendo così l’enzima mancante per neutralizzare o ridurre i sintomi. Oggi esistono in commercio latti privi di lattosio (delattosati), perché trattati dall’industria alimentare o perché arricchiti di Lactobacillus acidophilus, un batterio che digerisce il lattosio.
Bibliografia
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